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LA PRIMA VOLTA, in Azzurro

02 Luglio 2024

Ci avviciniamo alla palla a due di Italia-Bahrain con le parole degli azzurri, che rivivono emozioni e aneddoti legati ai loro esordi con la maglia della nazionale – di Cesare Milanti ed Ennio Terrasi Borghesan

 L’arrivo al palazzo, la discesa dal pullman. La camminata verso lo spogliatoio, tanto collettiva quanto solitaria nei propri pensieri, alla ricerca della migliore concentrazione. Il rapido cambio d’abito, un momento fugace che però ti porta a vestire quella maglia tanto attesa e sognata. Il riscaldamento, con la propria routine che si mescola a quella di altri giocatori ora compagni dopo settimane da avversari a livello di club. La presentazione delle squadre che precede un momento emotivamente importante come quello degli inni. Gli ultimi preparativi, le ultime parole, la palla a due che dà il via a tutto nella sua normalità.

Una partita di basket è fatta di rituali, di consuetudini che si ripetono ciclicamente a ogni livello. In questo, non vi è differenza tra club e nazionali. Vestire per la prima volta la maglia del proprio paese, però, è un momento speciale. Nell’avvicinarci al primo appuntamento del torneo Preolimpico di San Juan abbiamo parlato con gli azzurri di quella che è stata la loro prima volta con la maglia dell’Italia. Giovanili o Nazionale A, amichevole o partita ufficiale. Esordi a cui tutti legano aneddoti, ricordi, sensazioni.

“A livello giovanile vieni prima chiamato nelle selezioni regionali”, ci guida il capitano Nicolò Melli, “e poi, se va tutto bene, passi a quelle nazionali. Mi ricordo l’emozione fortissima, il divertimento nei raduni giovanili e la bellezza di ritrovare amici che non vedi tutto l’anno. Quando metto questa maglia ho sempre i brividi, sin da quando ero ragazzino. Sentire l’inno con questa maglia addosso ha un sapore diverso”.

Due dei dodici di San Juan che hanno in comune l’esordio assoluto in Nazionale A sono Marco Spissu e Giordano Bortolani. Per entrambi, infatti, la prima volta risale al febbraio 2020, a quella sera di Napoli trascorsa nel ricordo di Kobe Bryant e conclusa con una bella vittoria contro la Russia, sulla strada per EuroBasket 2022. “Ricordo quanto ero agitato prima della partita, la camera condivisa con Simone (Fontecchio, ndr) che poi ha fatto grandi cose”, racconta Spissu.

“C’era tutta la mia famiglia a vedermi, è qualcosa che porterò sempre dentro di me”, continua il play che nella prossima stagione vestirà la maglia di Saragozza, soffermandosi poi sull’emozione del primo inno nazionale: “Ti rendi conto che i sacrifici pagano, ti senti il petto pieno d’orgoglio. Guardi in alto e vedi la bandiera, sei consapevole che stai rappresentando il tuo paese. Penso non ci sia soddisfazione migliore, tra il tantissimo orgoglio e la voglia di fare bene”.

“Mi ricordo che ero molto teso, che sono rientrato alla fine e su assist di Pippo (Ricci, ndr) ho segnato il mio primo canestro”, ricorda, invece, Giordano Bortolani. “Ero contento anche perché non volevo chiudere a zero. Non è una cosa scontata, questa maglia. Non è che se fai una buona stagione sei qui al 100%. Per i miei amici sono quello che ce la sta facendo, e mi aiuta a non dare nulla per scontato. So che devo lavorare duramente per rimanere, perché è più difficile confermarsi per continuare a vestire questa maglia”.

Chi invece è arrivato “tardi” a vestire l’azzurro è proprio il Giampaolo Ricci citato da Bortolani. Dopo qualche presenza con l’Under 20 ha debuttato con la Nazionale A nel 2018, a 27 anni, nella strada verso il Mondiale 2019: “Per assurdo contro la Lituania, potrebbe essere una coincidenza”, ricorda. “Quando Meo (Sacchetti, ndr) mi ha messo nei dodici ero elettrizzatissimo, ho poi fatto canestro al primo pallone toccato. Qualche giorno fa ho ritrovato una foto di quella sera con Tonno (Stefano Tonut), è stato bello ricordare quel momento. Pensavo, nei primi raduni, che sarebbe stato bello giocare con lui”.

Per Stefano Tonut l’esordio azzurro era arrivato qualche anno prima, nella preparazione a un altro torneo Preolimpico: quello del 2016. “Ricordo una grande emozione mista a un po’ di tensione, la sentivo come una cosa inaspettata. Ero super emozionato, dopo la partita mi ritrovai mille chiamate da genitori e amici. Ero entusiasta di potere indossare questa maglia tanto desiderata sin da piccolo, sicuramente anche per l’influenza di papà. Mi rendevo conto di avere compiuto un primo passo, ma importante: ero davvero tanto felice”, ricorda.

Chi invece parte dal citare l’esordio con una nazionale giovanile è Niccolò Mannion, che fu grandissimo protagonista degli Europei Under 16 con l’Italia, risultando anche il miglior marcatore della competizione: “Ricordo l’emozione di giocare in Montenegro, anche senza tanta gente. C’era papà, non mamma ma ricordo la sua felicità mentre parlavo con lei. A 16 anni non avevo ancora capito quanto importante fosse giocare con la tua nazionale”.

“Mi viene in mente di più quando avevo 17 anni, alla mia prima partita con la Nazionale maggiore”, continua Nico in riferimento alla partita contro l’Olanda che lo fece entrare nella storia del nostro basket, come uno degli esordienti più giovani nella storia azzurra, “lì mamma c’era e mi viene in mente quando la guardavo piangere a dirotto mentre suonava l’inno nel palazzo. Mi ha trasmesso un’emozione fortissima, una giornata che ricorderò per sempre. Prima di quella volta avrò visto mia madre piangere una sola volta in tutta la vita, fu indimenticabile”.

Sulla scia del play risultato il miglior giocatore della Serie A è  Guglielmo Caruso, protagonista di una lunga scalata attraverso le varie categorie delle nazionali giovanili. “È stata una fortuna avere le prime esperienze fin da piccolino. La prima emozione che mi viene in mente è un senso di soddisfazione, di orgoglio. L’anno della prima volta ero appena andato via da casa, da Napoli, per andare a Torino e inseguire il sogno di diventare un giocatore di basket. La convocazione il primo anno è stato un modo per capire che quel durissimo primo anno stava pagando, ero orgoglioso di me stesso”.

Più vicina nel tempo è la prima volta di John Petrucelli, che peraltro coincide con l’esordio da CT di Gianmarco Pozzecco: Italia-Slovenia a Trieste, un’amichevole di lusso nell’estate che conduceva anche all’Europeo 2022. “Ho dovuto lavorare duramente per arrivare a quel momento, dentro e fuori dal campo”, ricorda John. “Quello è stato il primo momento in cui mi sono detto ‘ok, sta succedendo davvero’. Giocare davanti a migliaia di persone, affrontare Luka Doncic. Qualcosa di meraviglioso. All’inno ho percepito l’orgoglio di tutta l’arena. Quando gioca l’Italia è diverso da sentirlo in campionato: la maglia che indossiamo rappresenta un paese. È qualcosa di amplificato, di speciale, che puoi davvero percepire”.

Se per John Petrucelli, come abbiamo appena visto, il momento dell’esordio coincide con quello della realizzazione dell’importanza (e dell’orgoglio) di vestire la maglia della Nazionale, lo stesso non è per altri suoi compagni di squadra in questa estate dal sogno olimpico. Per esempio, e a proposito di Olimpiadi, per Stefano Tonut: “Non mi succede spesso di pensare a dove sono, cerco sempre di essere concentrato sul momento. A Tokyo però l’ho pensato, durante l’inno della prima partita”, ricorda il giocatore di Milano, “ho capito che stavo per giocare l’Olimpiade, qualcosa che tanti grandissimi non sono riusciti a fare”.

Anche per Marco Spissu, Tokyo è stato un momento di grande consapevolezza: “Da lì ho capito di potere fare parte del gruppo per tanti anni. È qualcosa che devi tenerti stretto, di cui devi goderti ogni momento perché non è infinito. Noi ce lo stiamo godendo al massimo ogni giorno, sperando possa durare il più a lungo possibile”.

“È stata l’emozione più grande”, ricorda Achille Polonara. “Cantare l’inno è sempre speciale, con questa maglia poi. Ma alle Olimpiadi, la competizione più importanti, cantarlo fa venire la pelle d’oca. È stato bellissimo”. Willie Caruso, invece, ripensa al valore di giocare una finale iridata, quella al Mondiale Under 17: “Fu incredibile. C’era tantissima gente, la partita andò in TV su Sky, fu molto seguita. È stato emozionante nonostante la sconfitta contro una squadra incredibile (il Canada, ndr). Il rammarico era poco, perché sapevamo di avere fatto qualcosa di stupendo: un momento che non dimenticherò mai”.

Per Pippo Ricci, invece, la consapevolezza di un suo ruolo crescente è arrivata ben dopo l’esordio, e dopo anche essere stato uno degli ultimi tagli prima del Mondiale 2019: “Sono passato dal portare gli asciugamani all’essere uno dei più importanti. I 19 punti con la Russia a Napoli, il Preolimpico dove giocavo e che ho voluto tantissimo. Mi sono reso conto che potevo farcela, che potevo continuare a lavorare e avere questa maglia. La convocazione fu un punto di partenza, non di arrivo. La mia carriera ha seguito il mio ruolo all’interno della Nazionale, sono contento del mio percorso perché ho fatto tutti gli step al momento giusto”.

Nel parlare con gli azzurri, abbiamo chiesto loro di rivivere anche alcuni momenti speciali tra quelli in cui hanno tifato per la maglia che oggi indossano. Awudu Abass non ha dubbi nel sottolineare il suo ricordo più bello: “L’argento ad Atene 2004. Il ricordo più grande, un risultato incredibile. Tra l’inchino del Poz e un giocatore fantastico come Basile, da sempre uno dei miei preferiti oltre che uno dei motivi per cui ho sempre usato il 5 come numero. Lì ero ancora piccolo, avevo 11 anni. Il sogno era quello di giocare in Serie A, lì mi sono detto che mi sarebbe piaciuto fare il professionista”.

Non alla televisione, ma dal vivo, il ricordo di Marco Spissu. “Italia-Turchia a Sassari. Era tutto esaurito ed ero seduto sulle scale che portavano ai posti”, ricorda, “Gigi (Datome) aveva fatto quella schiacciata pazzesca proprio davanti a me, la vedevo benissimo”. Stefano Tonut, invece, cita EuroBasket 2015: “Mi capita tuttora di rivedere gli highlights di quelle partite. Quell’Europeo è stato quello che mi ha fatto sognare di più, tra l’entusiasmo dei ragazzi e quello delle telecronache”.

“Da piccolo seguivo la Nazionale agli Europei quando ero a Torino, vedevo le partite insieme agli altri compagni”, le parole di Willie Caruso, “c’era grandissima voglia di stare insieme, quasi come se volessimo scendere noi in campo. Ci sentivamo tutti uniti”.

Uno spirito di gruppo, di comunità, che se vogliamo non è nemmeno così distante da quello che si è consolidato nelle ultime stagioni del basket azzurro, tra il ciclo di Sacchetti e quello di Gianmarco Pozzecco. “Se penso alla Nazionale lo stare insieme è la prima cosa che mi viene in mente”, dice Alessandro Pajola. “Da giocatore cresci in una squadra dove magari non tutti sono italiani, poi vieni qui in uno spogliatoio dove si parla la stessa lingua e più o meno si condividono le stesse passioni”, afferma il giocatore della Virtus Bologna.

“Quando si è bambini il sogno è quello di indossare, un giorno, la maglia azzurra. Io ho avuto questo privilegio, ho fatto tanti sacrifici per essere qui e continuerò a farli finché sarò chiamato”, le parole di un orgoglioso Marco Spissu mentre Nico Mannion pensa a come il legame con l’azzurro cresca col passare del tempo: “A 17 anni non pensi che farai cinque, sei o dieci anni con la Nazionale. Pensavo solo di venire a giocare, ora dopo anni mi trovo benissimo, è un onore vestire questa maglia”.

“Quando sei molto giovane la strada è lunga per arrivare a essere un punto fermo”, dice Achille Polonara. “Già ero contento di essere stato convocato, di assaggiare il campo, era già un’emozione. Ho ricordi bellissimi”. “La forza di questo gruppo è quella di non porsi limiti”, sottolinea in chiusura Giampaolo Ricci. “Gianmarco ogni giorno prova a creare e sottolineare questa cosa. Quando condividi questa cosa con degli amici, tutto ha più valore. E quando hai degli amici al tuo fianco puoi fare tutto”.