La federazione
STORIA
Un viaggio all’interno di questi Cento anni
I PIONIERI
Cominciarono in dieci. Tante le società milanesi che la sera del 2 novembre del 1921, approvandone lo Statuto ed eleggendo Arrigo Muggiani primo Presidente della Federazione Italiana Basketball, sancirono la nascita di una Federazione autonoma per la pallacanestro.
Fu un piccolo scisma. Dalla Federazione Ginnastica Nazionale Italiana, che gestiva tutti i giochi di squadra dell’epoca, rea di ‘aver lasciato nel dimenticatoio il gioco del basket e aver sospeso i campionati’.
Già era stato disputato un campionato, nel maggio del 1920. Durò quattro giorni, dal 26 al 30 maggio, in occasione del Concorso Ginnastico di Venezia. Vinse la Costanza Milano, prima di otto squadre. Poi, la FGNI non organizzò più nulla per un anno. Da qui il ‘malcontento’ e la voglia di fare da soli. Prima un Torneo federale e poi dall’autunno del 1922 un vero e proprio campionato. I primi sei titoli furono vinti da squadre milanesi (cinque dall’A.S.S.I., una squadra di studenti, e uno dall’Internazionale), e nel 1928 vinse per la prima volta la Ginnastica Roma.
Nel frattempo quei dieci club erano diventati 74 e i giocatori tesserati duemila. La sede della Federazione si era spostata da Milano a Roma e il generale Ferdinando Negrini ne era divenuto il nuovo presidente.
Il nome della Federazione era mutato in Federazione Italiana Palla al Cesto e la Nazionale aveva già fatto le sue due prime uscite: in canottiera bianca, con lo scudo crociato sabaudo battemmo per due volte la Francia. Una volta a Milano il 4 aprile del 1926, e poi a Parigi, il 18 aprile dell’anno dopo. Canevini, Valli e Valera i migliori realizzatori, Marco Muggiani il CT.
Dal 1930, dopo due commissariamenti, con un nuovo presidente, il conte Giorgio Asinari di San Marzano, il trasferimento degli uffici allo Stadio Nazionale, l’attuale Stadio Flaminio, il movimento riceve una migliore struttura a livello nazionale. Dopo Milano è il momento di Roma e Trieste di affermarsi e di dominare la prima metà degli anni Trenta, vincendo, ad anni alterni, lo scudetto.
Parte anche il campionato femminile. I primi campionati si decidono in una giornata o due di gare. Due scudetti per Trieste, prima di nove divisi tra tre squadre milanesi: Gioiosa, Canottieri ed Ambrosiana.
Pochi e malandati erano i campi da gioco, quasi sempre si giocava nei cortili, su prati o su terra battuta. I campi erano segnati con righe di calce che dopo alcuni minuti di gioco scomparivano. Gli equipaggiamenti erano spesso presi a prestito da altre discipline e qualche giocatore giocava anche scalzo. I palloni variavano di misura e peso a seconda delle città. Era un gioco duro, ma nuovo e divertente.
A Milano si giocava in via Washington 33, con il fondo in terra battuta grigia, a Trieste, prima in via Ginnastica e poi nella Villa Ara, a Roma al Muro Torto, sotto Porta Pinciana, ‘nel gomito che formano le mura aureliane di fronte all’attuale maneggio di Villa Borghese.
Nel 1936 con Basso, Bessi, Castelli, Diana, Dondi, Franceschini, Giassetti, Marinelli, Mazzini, Novelli, Paganella, Pelliccia, Premiami e Varisco, CT Decio Scuri, allenatore Guido Graziani, partecipiamo alle Olimpiadi di Berlino, le prime che vedono ufficialmente la presenza del basket. Arriviamo settimi su ventuno partecipanti.
Nel 1937 nasce il primo campionato unico di serie A, a dieci squadre. Nello stesso anno la Nazionale maschile, in Lituania, vince l’Argento perdendo di un punto (24-23) nella seconda edizione dei Campionati Europei contro la squadra di casa. Le ragazze fanno di meglio: l’anno successivo vincono l’Oro, a Roma, ai primi campionati Europei femminili, sul campo del Muro Torto mettendo in fila Lituania, Polonia, Francia e Svizzera.
Lo scudetto torna a Milano: il Dopolavoro Borletti vince quattro campionati di fila, dal 36′ al 39, guidato da Giannino Valli poi è di nuovo è il turno della Ginnastica Triestina (’40 e ‘41) e della Reyer Venezia (’42 e ’43) prima delle sospensioni a causa della guerra. Nella Reyer Venezia giocava Sergio Stefanini, il primo lungo italiano (nel dopoguerra, dopo un periodo passato in Brasile, vincerà cinque scudetti con la Borletti) capace di spostare gli equilibri.
Il dopoguerra
Fino a quel momento si era giocato copiando il modello del calcio: due attaccanti, un centrale che faceva su e giù per il campo, e due difensori. I campi non erano tutti delle stesse dimensioni, si giocava quasi sempre all’aperto. Il movimento continuo dei giocatori dall’attacco alla difesa, i schemi chiamati con i numeri, le difese aggressive, li imparammo dai soldati americani in Italia che giocavano un basket più atletico e dinamico. Oppure nei campi di prigionia alleati.
La guerra non divise solo l’Italia, ma anche la Federazione con un Commissario per il Centro-Nord e un altro per il resto d’Italia. La riunificazione nel 1946 con Aldo Mairano presidente, vide l’Italia vincere l’Argento, sconfitta in finale dalla Cecoslovacchia (34-32) alla prima edizione postbellica dei Campionati Europei di Ginevra.
Per meglio imparare dagli americani, il presidente Mairano ingaggio Elliott Van Zandt alla guida della Nazionale. Van Zandt, capitano di fanteria, predicò il verbo dei fondamentali, dei fondamentali e dei fondamentali.
La vita torna alla normalità: ci sono 4168 tesserati e 356 società nel 1946. La Nazionale maschile parte in treno per le Olimpiadi di Londra del 1948 senza Cesare Rubini che preferisce quella di pallanuoto e vince l’Oro, mentre i nostri con Bersani, Tracuzzi, Romanutti, Cerioni, Stafenini, Marinelli, Ranuzzi, Rapini, Primo, Marietti, Nesti, Pellarini, Ferriani, Mantelli finirono al diciasettesimo posto. Venne introdotta la regola dei tre secondi in area.
Gli anni Quaranta si chiudono con quattro scudetti consecutivi della Virtus Bologna, mentre in campo femminile Bernocchi Legnano ed Indomita Roma precedevano l’avvento della prima era della Ginnastica Comense con quattro scudetti dal ’50 al ’53.
Le scarpette rosse
L’Olimpia targata Borletti fino al ’56 e poi Simmenthal aveva un gioco molto spettacolare, per l’epoca, con tanto contropiede, due movimenti base e poi gioco libero.
Anche coreograficamente si impose su tutti: le scarpette rosse che indossavano i giocatori, divennero simbolo di gruppo, passione ed orgoglio di squadra.
Per tre volte Vittorio Tracuzzi (ed una Enrico Garbosi nel 1961 con l’Ignis) riesce ad interrompere la serie vincente Borletti-Simmenthal: nel ’55 e nel ’56 con la Virtus Minganti Bologna e nel 1964 con la stessa Ignis.
Il basket guadagna spazi importanti nella società italiana. Dal 1954 sono obbligatori i campi al coperto in serie A, anche se talvolta, i parquet sono ancora un lusso e solo dopo le Olimpiadi di Roma i palloni sono tutti di nylon e non più pallonesse da calcio.
Si affacciano alla ribalta nazionale Livorno e Pesaro che rendono la vita difficile alle squadre di Roma, Milano, Bologna e Trieste.
Dopo Elliott Van Zandt, nel 1953 arriva Jim Mc Gregor alla guida della Nazionale. Suo assistente è il prof. Nello Paratore che aveva guidato l’Egitto ad una medaglia di Bronzo e una d’Oro negli Europei del ’47 e del ’49.
Paratore dal ’56 è capo allenatore della Nazionale. Preparò la squadra per le Olimpiadi di Roma che si rivelerà il più grande evento promozionale per il nostro basket per l’epoca. Ci fu sempre il tutto esaurito. L’Italia sfidò alla pari le grandi nazionali dell’epoca. Fu l’Olimpiade di Giomo, Vianello, Riminucci, Lombardi, Pieri, Gamba, Alesini, Canna, Calebotta, Vittori, Gavagnin e Sardagna. Ci qualificammo al quarto posto dopo USA, Urss e Brasile.
Nel 1965 tornano nel nostro campionato i giocatori stranieri. E’ una delle prime decisioni del nuovo governo federale presieduto da Claudio Coccia. Il valore di Doug Moe a Padova, di Tony Kimball a Varese, di Skip Thoren a Milano (sponda Simmenthal) e di Joe Isaac (sponda All’Onestà) si traduce in bel gioco, ma anche in una nuova spettacolarità che attrae sempre più pubblico”.
Si guarda anche alla base del movimento: nasce il minibasket e i primi centri si aprirono a Milano, Roma, Bologna e poi Catania, Messina, Udine, Livorno, Pesaro, Genova, Firenze e poi in tutta Italia.
All’Olimpiade di Tokyo, l’Italia conferma la prestazione di Roma arrivando al quinto posto (Bertini, Bufalini, Flaborea, Gavagnin, Giomo, Lombardi, Masini, Pellanera, Pieri, Sardagna, Vianello e Vittori) mentre all’Olimpiade in Messico (Bovone, Bufalini, Flaborea, Masini, Vianello, Vittori, Gatti, Pellanera, Jessi, Recalcati e Cosmelli) l’ottavo posto significa anche la fine del ciclo di Nello Paratore alla guida della Nazionale che ha svolto un lavoro silenzioso, ma attento.
Giancarlo Primo, viene chiamato alla guida della Nazionale. Primo sarà l’allenatore delle prime medaglie internazionali, ma anche quello che darà nuova professionalità al Settore Squadre Nazionali realizzando con i suoi giocatori una sorta di club Italia.
Gli anni Settanta significano essenzialmente un simbolico passaggio di consegne fra il grande Simmenthal e l’Ignis vincitutto di Nikolic. Prima gli spareggi per lo scudetto (di cui uno perso a tavolino nel ’66 dall’Ignis per aver fatto giocare a sorpresa come italiano l’oriundo Tony Gennari non ancora naturalizzato), poi i duelli fra Dino Meneghin ed Arthur Kenney, infiammano la passione. Milano-Varese è la partita che decide lo scudetto, anche se nel ’68 e nel ’75 Cantù, si inserisce come buon terzo, fra i due litiganti, e vince lo scudetto.
L’Ignis dal ’69 al ’79 vince 7 scudetti e partecipa a dieci finali di Coppa campioni consecutive vincendone cinque. Il simbolo di questa squadra è Dino Meneghin, ma anche Bob Morse dopo Manuel Raga, che insieme a Rusconi, Bisson, Zanatta e Charlie Yelverton, raccolgono l’eredità di Bufalini, Gavagnin, Vittori e fanno grande la pallacanestro italiana in Europa.
Cambia la formula del campionato di serie A. Dal 1974 c’è il campionato di A2, mentre dal ’76 ci sono i playoff. E’ il momento dei grandi stranieri: Bob Morse, Chuck Jura, Willie Sojourner, Bob Lienhard, Steve Hawes, Tom Mc Millen, e poi Peter Skansi, Kresimir Kosic ma anche, ultimo solo in ordine di tempo, Mike D’Antoni. Dalla stagione 77-78 ci sono due giocatori stranieri per squadra in campionato, mentre Cantù afferma una vocazione tutta europea vincendo dal ’73 all’83 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Interncontinentali, 3 Coppe Korac e 4 Coppe delle Coppe.
Giancarlo Primo mette l’accento sulla difesa. Le sue Nazionali sono squadre ostiche da battere. Guida l’Italia in sei Europei, due mondiali (Lubiana ’70 e Manila ’78) e due Olimpiadi (Monaco 72 e Montreal 76).
Vinciamo due medaglie di Bronzo ad Essen nel ’71 e a Belgrado nel ’75 e non andiamo mai oltre il quinto posto. L’Italia, con Giancarlo Primo, è divenuta una salda realtà internazionale.
Nel 1976 Enrico Vinci è eletto presidente della FIP. Inizia il decentramento federale, dando maggiori responsabilità alla periferia.
Dan Peterson, nello stesso anno, allenatore giramondo che aveva anche allenato la Nazionale cilena, con la Sinudyne Bologna dell’avvocato Porelli interrompe lo strapotere lombardo.
In campo femminile, intanto dopo la prima saga del Vicenza (cinque scudetti dal ’65 al ’69) è iniziata quella del Geas (otto scudetti in nove campionati fino al 1978) che strappa la prima Coppa dei Campioni allo strapotere sovietico nel nel ’78, impresa ripetuta dalla Teksid Torino due anni dopo).
Nel 1974 le ragazze vincono la seconda medaglia in campo europeo: a Cagliari, ai Campionati Europei seniores, guidate da Settimio Pagnini, con Ezio Cernich come assistente, le azzurre vincono la medagli di Bronzo.
Di quella squadra facevano parte: Annalisa Cattelan, Lidia Gorlin, Manuela Peri, Chiara Guzzonato, Donatella Trevisi, Mariangela Piancastelli, Umberta Pareschi, Rosetta Bozzolo, Wanda Sandon, Mabel Bocchi, Luciana Apostoli, Tiziana Fasso.
Dopo gli Europei di Torino Sandro Gamba viene nominato CT. Con Gamba la Nazionale riceve un nuovo indirizzo: non più club azzurro, ma una selezione dei migliori giocatori del momento, anche se italo-americani come Myke Silvester.
Con Sandro Gamba in panchina l’Italia ha vinto le medaglie più preziose: Argento ai Giochi Olimpici di Mosca ’80, Oro agli Europei di Nantes ’83, Argento a quelli di Roma ’91, senza dimenticare il Bronzo di Stoccarda nell’85 e il dolce-amaro quarto posto di Zagabria nell’89 con Mike D’Antoni in squadra.
L’Argento di Mosca venne alla fine di una Olimpiade sofferta. La qualificazione per la fase finale venne per il classico ‘rotto della cuffia’. Gamba aveva scelto ‘Villalta, Vecchiato, Bonamico, oramai sperimentati, dava fiducia a Brunamonti, Gilardi e Generali, lanciava Solfrini e riscopriva Romeo Sacchetti, già ventisettenne. Naturalmente c’erano anche Mike Sylvester, Dino Meneghin e Pierluigi Marzorati e Fabrizio Della Fiori. Battemmo la Russia di due punti (85-87), poi perdemmo con il Brasile e poi vincemmo con la Spagna. In finale, forse già appagati, perdemmo 77-86 con la Jugoslavia di Cosic, Kicanovic, Dalipagic e Delibasic, una delle più forti di tutti i tempi.
A Nantes, invece, fu un crescendo. La squadra capì giorno dopo giorno la propria forza. Battemmo due volte la Spagna (all’esordio e in finale) e poi, senza problemi, la Svezia, la Grecia e la Francia. Poi fu la volta della Jugoslavia, meno forte e più cattiva. Ci fu la rissa con Kicanovic che colpiva a tradimento Villalta e tutti in campo a difendere il compagno, Gamba in testa. Forse non fu bello a vedersi, ma lo spirito di squadra ne beneficiò. Agevolmente contro l’Olanda in semifinale e poi battendo la Spagna fu l’Oro, il primo.
Una forte Nazionale significava un forte campionato. A cavallo del decennio si alternano in vetta Bologna (’79 e ’80 con Terry Driscoll in panchina, e poi 84′ con Alberto Bucci), Cantù nell’81, poi Roma nell’83, prima del ritorno di Milano nell’82 (con Meneghin passato all’Olimpia, D’Antoni, Premier, Ferracini e Gianelli) con Peterson in panchina, che parteciperà ad otto finali scudetto vincendone cinque.
Sono gli anni delle sfide a ripetizione fra Peterson e Bianchini. Valerio Bianchini, coach della Nazionale dall’85 all’87 (sesto posto ai Mondiali di Madrid dell’86 e quinto posto agli Europei in Grecia dell’87 perdendo una sola partita nella lotteria dei quarti di finale), è l’unico allenatore che riesce a vincere tre scudetti con tre squadre diverse (‘81 a Cantù, ‘83 a Roma, ‘88 a Pesaro) e di fronte sempre Peterson, se non in finale, almeno in semifinale. Le loro sfide sembrano non finire mai ed avvincono addetti ai lavori e pubblico.
Alla fine degli anni Ottanta comincia a colmarsi la distanza con l’NBA: prima l’Olimpia Milano e poi Scavolini Pesaro, Virtus Bologna, Benetton Treviso e Rosters Varese partecipano al Macdonald’s Open, non sfigurando certamente, mentre giocatori come Bob MacAdoo e George Gervin vengono a giocare in Italia.
In campo femminile negli anni Ottanta vede il predominio del Vicenza che in otto finali vince sette scudetti ed anche quattro Coppe dei Campioni.
Gli anni Novanta vedono un cambio al vertice sia tecnico, sia politico.
Il professor Enrico Vinci lascia la vita dirigenziale. Al suo posto viene eletto Gianni Petrucci, già segretario generale della FIP dal ’78 all’85 e poi della Federcalcio. Petrucci rimane in carica fino al febbraio del 1999, quando viene eletto alla presidenza del CONI. Sono anni importanti. Il 9 luglio del 1994 viene approvato il regime professionistico per i giocatori di serie A dalla XXIX Assemblea Generale Straordinaria tenutasi ad Ostia (Roma). Poi la sentenza Bosman. Il volto del nostro campionato viene stravolto con comunitari e extracomunitari senza vincoli di numero per il tesseramento.
La Nazionale attraversa un periodo di crisi. La risolleva con pazienza e perizia Ettore Messina, attraverso un nono e un quinto posto agli Europei in Germania e in Grecia, e un meraviglioso argento a Barcellona nel 1997.
La Nazionale femminile guidata da Riccardo Sales vince l’argento a Brno e partecipa alle Olimpiadi di Atlanta. E’ la sua terza partecipazione, dopo Mosca nel 1980 (con Bruno Arrigoni in panchina e Carlo Colombo come assistente) e Barcellona nel 1992 (sotto la guida di Franco Novarina e con Guido Novello come assistente).
Nel frattempo la Scavolini vince due scudetti (88 e 90), e nel ’91 lo scudetto arriva fino a Caserta vinto da Franco Marcelletti, e da due giovanissimi Enzo Esposito e Nando Gentile. Treviso nel 92 e poi il dominio di Bologna per tre anni (il primo con Messina e gli altri due con Alberto Bucci).
Dopodichè ogni anno lo scudetto cambia casa: Milano 96, Treviso 97, Virtus Bologna 98, Varese 99 (quello della stella), Fortitudo nel 2000 (al quarto tentativo) e poi di nuovo la Virtus Kinder Bologna nel 2001. Per la femminile gli anni Novanta si traducono con la parola Pool Comense: nove scudetti consecutivi, tutti con Viviana Ballabio, cinque coppe Italia e due Coppe dei Campioni
E poi è storia d’oggi. Fausto Maifredi, docente di matematica, dall’8 maggio 1999, è il nuovo presidente della FIP. Inizia nel migliore dei modi, vincendo un Oro Europeo: dopo l’Argento di Barcellona, Bogdan Tanjevic sostituisce Messina, arriva sesto ai Mondiali in Grecia nel 1998, tira il fiato, va in Francia e con Andrea Meneghin, Abbio, Myers, Basile, Bonora, De Pol, Galanda, Fucka, Marconato, Chiacig, Damiao e Mian vince i Campionati Europei a Parigi il 3 luglio 1999 e porta la Nazionale alle Olimpiadi dopo 16 anni. Si vince in crescendo: nei quarti surclassiamo la Russia, in semifinale battiamo la Jugoslavia in una partita tutta di un fiato e senza esclusione di colpi, e in finale superiamo la Spagna. E’ il trionfo della perseveranza e della fede nel lavoro.
La guida della Nazionale femminile è assunta da Aldo Corno, che torna sulla panchina azzurra, anche se con un contratto part-time, per la terza volta.
Il 18 giugno 2000, la XXXIV Assemblea Generale Straordinaria, che si tiene a Chianciano Terme (Siena), vota il nuovo statuto federale che vede la Federazione come ente di diritto privato con finalità pubbliche.
Alle Olimpiadi di Atlanta arriviamo quinti, agli Europei in Turchia del 2001 arriviamo noni. Tanjevic lascia. Il presidente Maifredi chiama alla guida della Nazionale Carlo Recalcati.
Recalcati, due scudetti a Cantù da giocatore, due scudetti nei club da allenatore (Varese e Bologna) affronta l’impegno di CT con lo stile di Giancarlo Primo: gira l’Italia in lungo e in largo, fa progetti a lungo termine, cerca e scova giocatori per la Nazionale, ma riesce, in attesa della nuova generazione a coinvolgere nel suo progetto (“Andiamo agli Europei per andare alle Olimpiadi, che sono la manifestazione più importante per chi fa sport”) giocatori che avevano lasciato la Nazionale o quasi, come Riccardo Pittis, Carlton Myers ed Alessandro Abbio che daranno un contributo fondamentale per la qualificazione.
L’Italia si qualifica per il campionato Europeo in Svezia del 2003. L’Europeo è tutto in salita, l’Italia perde con la Slovenia (67-77), poi prende un cappotto dalla Francia (52-85), vince con la Bosnia Erzegovina (80-72), passa il turno per un pelo, ma poi si trasforma e batte la Germania (86-84) di Dirk Nowitzki e la Grecia (62-59). In semifinale perde con la fortissima Spagna (79-81) e nella finale per il terzo posto (l’ultimo valido per le Olimpiadi) ritrova la Francia di Tony Parker. E’ una partita spaccacuore e piena di colpi di scena che l’Italia riesce comunque a vincere per due punti: 69-67. Si va ad Atene!
Recalcati, qualificata l’Italia, cambia il contratto che lo lega alla Fip: il Montepaschi Siena lo vuole, Recalcati divene ct part-time e capo allenatore della squadra senese.
Con Siena, Recalcati vince il terzo scudetto come capo allenatore con tre squadre diverse. Neanche il tempo per festeggiare che inizia la preparazione per i Giochi Olimpici di Atene. La storia è nota: l’Italia, senza talento, ma con tanto cuore e tanta squadra, si ferma solo in finale con l’Argentina (69-84). L’Italia vince la medaglia d’Argento, la seconda della sua storia, ma questa volta nessuno può dire, come a Mosca 80, che mancavano gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti ci sono, dopo di noi sul podio, con la medaglia di Bronzo.
L’Italia medaglia d’Argento è composta da: Nikola Radulovic, Gianluca Basile, Giacomo Galanda, Matteo Soragna, Denis Marconato, Gianmarco Pozzecco, Alex Righetti, Rodolfo Rombaldoni, Massimo Bulleri, Michele Mian, Roberto Chiacig, Luca Garri. I tecnici assistenti di Recalcati sono Fabrizio Frates e Giovanni Piccin.
Dino Meneghin, già Commissario dal 30 settembre 2008, viene eletto Presidente dalla XCI Assemblea Generale Elettiva il 7 febbraio 2009, succedendo a Fausto Maifredi.
Il 12 gennaio 2013, nel corso della 44ª Assemblea Generale, Giovanni Petrucci viene eletto presidente della Fip. Petrucci era già stato eletto Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro il 21 novembre 1992, venendo poi riconfermato il 29 giugno 1996. Nel 1994 fece parte della Commissione Esecutiva della FIBA (Fédération International de Basketball) e il 30 aprile 1997 venne eletto nella Giunta Esecutiva del CONI.
Il 17 novembre 2020 Giovanni Petrucci è stato eletto e confermato Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro dalla 48ª Assemblea Generale Elettiva per il quadriennio 2021-2024.