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Italia-Argentina a Bologna, 21 anni dopo l’Argento di Atene: Ricominciamo?

Da Atene a Basket City, quasi ventun anni dopo. Ventun anni trascorsi nella speranza azzurra che la generazione NBA potesse tenerci, poi riportarci lassù. Speranza spesso naufragata nel rimpianto e in occasioni sfiorate, ricordate vero i quarti con la Lituania nel 2013 e 2015 e il Preolimpico torinese 2016? Perché come usa dire capitan Nic Melli: “Qualche volta ci vuole anche un po’ di culo”... Ventuno anni che si possono studiare e assaporare attraverso i filmati anche integrali delle partite su YouTube, o nel bello speciale di Sky Sport, costruito con i contributi video delle telecamerine dei protagonisti, Teo Soragna e capitan Gek Galanda su tutti. Già, perché gli smartphone non avevano ancora occupato le nostre giornate. Ecco, ventun anni rappresentano un’era geologica nello sport contemporaneo, come nella nostra società. Non è solo questione di telefonini e tecnologia e social network, ma di evoluzione della specie, della preparazione atletica, delle tecniche e metodologie di allenamento.
Allora, in fondo, i figli della generazione X erano cresciuti con i ritmi e le regole dei genitori. Avevano i volti di Gianluca Basile, Gek Galanda. Il Poz era una novità, un’anticipazione del futuro, ancorata comunque al passato. I ragazzi scrivevano sui bendaggi adesivi poi incollati ai muri del Villaggio Olimpico per non deturpare direttamente quelle che sarebbero diventate abitazioni per gli ateniesi. Ventun anni sono passati e nella narrazione e dunque nel ricordo, l’Argentina oro olimpico, è diventata la “Generacion Dorada”.
La trovate raccontata anche su Wikipedia. Non figura invece alcun capitolo sulla nostra generazione di fenomeni. Un gruppo ampio di italiani capaci di conquistare 4 medaglie importanti in 7 anni: argento europeo 1997, oro 1999, bronzo 2003 con annessa clamorosa qualificazione olimpica, infine argento olimpico. Con 27 giocatori diversi e altre eccellenti rinunce. Con tre ct diversi per formazione e spirito come Ettore Messina, Boscia Tanjevic, Carlo Recalcati. Un viaggio impressionante che avrebbe dovuto far riflettere, per provare ad adeguarsi ai cambiamenti, come peraltro Charlie ci aveva ammonito con le sue denunce iniziate a Euro 2003 e proseguite nell’anno successivo.
Ma come detto erano tempi diversi, un mondo differente. Era una Nazionale di protagonisti nei rispettivi club anche in Eurolega, laddove oggi gli azzurri hanno quasi tutti ruolo secondario. E di quell’Eurolega i club italiani erano protagonisti assoluti a attesi, con due squadre alla Final Four nel 1998, 1999, 2002, 2003, 2004.

Era un mondo diverso, i giornalisti al seguito formavano un’altra squadra, nutrita, segno che la pallacanestro interessava i Media. C’erano sempre i tre quotidiani sportivi persino con più di un giornalista, Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Messaggero, Giornale, Giorno, Resto del Carlino, Gazzettino, Rai, Sky, pure altri. E i Media contavano, a differenza di oggi. Tanto che sia Tanjevic sia Recalcati nelle loro avventure avevano indetto riunioni e/o cene per definire regole, chiarire i rapporti. Tutti in un’unica squadra, la Nazionale di basket. I giocatori che avevano rapporti quotidiani e reali con i Media.
Si diventava amici, di un’amicizia fatta di cose dette e non dette, sguardi, intese, scherzi, pure litigi, cose che si potevano scrivere o meno, importante era altro. Il rispetto tra individui anche nell’informare. I numeri di canotta andavano dal 4 al 15, il marketing non aveva ancora conquistato ogni spazio occupabile. E se l’Italia sceglieva di raffigurare la A sulla canotta con una stella, se ne discuteva eccome… Un altro tempo, già.
Il viaggio che portò all’apoteosi di Oaka, a pensarci bene, cominciò proprio ad Oaka nove anni prima. Euro 1995, il super palasport da poco inaugurato, strade ancora polverose verso l’area pensata per le Olimpiadi del Centenario poi “concesse” all’impero della Coca Cola e ancora cantiere per il futuro a venire. Quell’Italia perse il quarto di finale con la Croazia, colpita in particolare dal playmaker Maric (14 punti con 4/6 da tre), perché da qualche parte la coperta contro i Kukoc e Radja, Komazec e Mrsic doveva infeltrirsi. Lì Messina operò un ulteriore ricambio generazionale. Nel ‘97 erano rimasti in sei rispetto a due anni prima, con Pittis (che ce lo annunciò a Barceloneta subito dopo l’Argento), Coldebella e Carera all’ultimo valzer. Largo dunque ai seventies, la generazione di fenomeni, in cui potevano avere un ruolo anche ipotetiche comparse (con tutto il rispetto), in cui comunque era difficile scegliere tra tanti campioni e ottimi giocatori. In cui avevamo lunghi capaci di lottare alla pari con i giganti altrui, anche con assi Nba. Non a caso i due sempre presenti nelle 4 medaglie sono stati Gek Galanda e Denis Marconato. E restringendo il campo alle ultime tre medaglie si aggiunge un altro centro, Roberto Chiacig, oltre a Basile e Michele Mian.

Nel 1997 la fiducia in noi addetti ai lavori era cresciuta, cementata.
Si confidava eccome nella medaglia. Nel 1999, da tutti noi il podio era considerato certo, molti pronosticavano finale e… chissà. Ma quella Nazionale dopo un inizio stentato e l’incontro tra ct e media conquistò comunque per la qualità del gioco e l’unione del gruppo. Dopo una medaglia sfiorata a Sydney, la delusione cocente da apparente fine ciclo in Turchia 2001, si provava a ripartire. Nello scetticismo generale. Perché i formidabili Carton Myers, Gregor Fucka e Andrea Meneghin non c’erano più per motivi assortiti. Anche Abbio era fuori.
Le gerarchie, pur sempre chiare, erano cambiate. Ma nonostante l’ingresso prorompente di Bulleri e la maturazione di Teo Soragna a protagonista assoluto e regista occulto, per la Svezia 2003 non regnava l’ottimismo. Il pessimismo si trasformava in delusione, disperazione condita da giudizi al fiele nella fredda Lulea. Ancor più dopo la disfatta glaciale con la Francia Nba di monsieur Parker: un -33 affievolito soltanto dall’apparizione di un’inattesa aurora boreale mentre noi cronisti si camminava pensierosi nella notte. Da lì la riscossa verso l’impresa che “pound for pound” considero la più grande impresa del basket italiano: qualificarsi all’Olimpiade battendo la Francia sul tiro fallito da Parker stesso, seguito da Bulleri che pur infortunato (come Basile) aveva deciso di giocarsela. Rimbalzo di Marconato, Il biglietto per Atene strappato quando sembrava ancor più irraggiungibile dopo i fallimenti di Serbia e Grecia (già qualificate).
L’Italia costruisce nella meravigliosa Stoccolma, limitando con super Galanda il fenomeno Nowitzki, domando con Soragna ancora capitan Gek la Grecia, giocandosela fino all’ultimo con Espana superstar. Battendo la Francia.
Eppoi Atene, anzi prima Colonia, ovvero quella strepitosa impresa contro i boriosi Usa, costruiti male con giovani futuri dominatori (LeBron, Wade, Anthony) e veterani che non legavano tra loro (immaginate Iverson e Marbury e Odom con Duncan…), ignari di chi fossero gli avversari e quali caratteristiche avessero, mentre oggi si sa bene anche la posizione in cui dormono a letto i rivali. Una partita giocata offensivamente in Paradiso, con Baso e Galanda a mettere assieme 12 triple, il pick and roll del Poz, tornato Azzurro, illeggibile e beffardo per Iverson, fino all’inchino. E dire che al mattino i ragazzi scommettevano sullo scarto. In quella partita c’erano già tutti i segnali dell’Argento, della clamorosa semifinale con la Lituania di Jasikevicius. C’era soprattutto la felice compattezza e la consapevolezza del gruppo. Quel gruppo che avrebbe conquistato anche gli altri azzurri olimpici. Pozzecco che diventa così amico di Damiani, ct del pugilato, al punto da ricevere in dono i guantoni e poi colpire per scherzo Chiacig. E la finale comunque giocata, seppur troppo stanchi per resistere dopo nemmeno 24 ore.

Ma se oggi celebriamo e ricordiamo Ginobili, Scola, Oberto, Pepe Sanchez, Nocioni, Delfino, Sconochini, Montecchia e compagni, ebbene altrettanto dovremo fare con i nostri azzurri di quei 7 anni e dell’Argento. E pur mantenendo viva la nostalgia per un passato di gloria e gioia, da questo 2025 possiamo costruire un ponte di speranze nel futuro. Ce lo hanno anticipato le Medaglie in serie degli attuali Under 20, ce lo ha fatto capire il podio dell’Under 18. E ora lo annunciano i giovani (e non più tanto) che si sono inseriti nel nucleo solido dell’Italia di Pozzecco. C’è una prospettiva, c’è un orizzonte e questi ragazzi non sono più oppressi dall’attesa di un posto al sole, cioè di minuti veri in campo. Perché possono andare a completarsi all’estero, poi anche al college e per di più remunerati. Se i club italiani nascondono la poca fiducia nell’impazienza da risultato, ebbene loro se ne possono infischiare. Tutto a beneficio della Nazionale. Che poi porta visibilità, attenzione del pubblico, anche di quello non innamorato dei canestri italiani. Che in questi anni, diciamocelo finalmente, sono stati e sono tuttora relegati in un angolo.
Italia-Argentina ventun anni dopo è un’occasione per ricordare con orgoglio. E in futuro dovrebbe essere un’occasione da documentario, riunione di vecchi cuori ardenti, storie da raccontare a chi non c’era. Ma è anche un giorno per smetterla di piangersi addosso.
EuroBasket 1997: Coldebella, Bonora, Fucka, Pittis, Marconato, Galanda, Myers, Moretti, Abbio, Frosini, Carera, Gay. Ct. Messina
EuroBasket 1999: Fucka, Myers, Meneghin, Chiacig, Marconato, Abbio, De Pol, Basile, Galanda, Bonora, Damiao, Mian. Ct: Tanjevic
EuroBasket 2003: Radulović, Basile, Galanda, Soragna, Marconato, De Pol, Righetti, Lamma, Bulleri, Mian, Chiacig,
Cittadini. Ct: Recalcati
Giochi Olimpici 2004: Basile, Bulleri, Chiacig, Galanda, Garri, Marconato, Mian, Pozzecco, Radulovic, Righetti, Rombaldoni, Soragna. Ct: Recalcati