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Nazionale A femminile

Emozioni, sorrisi e lacrime della Nazionale Femminile, dal 13 aprile 1930 a oggi (seconda puntata)

14 Giugno 2025

Decidete voi, se volete conoscere la storia della Nazionale Femminile dalla prima o dall’ultima pagina. Ovvero dalla sconfitta rimediata con la Francia il 13 aprile 1930 o dalle amichevoli giocate a Brno nei giorni scorsi. Sigla iniziale o titoli di coda, cambierà poco. Avrete sempre a che fare con una Maglia che merita di essere raccontata, anche se spesso le lacrime hanno spento i sorrisi e anche se l’Albo d’Oro Azzurro non è particolarmente prestigioso. Ballano novantacinque anni di Storie e di canestri: donne meravigliose, partite leggendarie, occasioni perse e qualche volta colte. Buon divertimento. (seconda puntata)

Siamo a ridosso del 1980 e dei Giochi Olimpici di Mosca. Il pre-olimpico di Varna si rivela una maratona pazzesca: si giocano 9 partite in 11 giorni, 24 squadre si contendono 4 posti. Battiamo subito la Romania, il Canada di Bev Smith e la Germania Ovest prima di fermarci con Cuba. Torniamo al successo con la Polonia e poi pieghiamo la Bulgaria padrona di casa completando una partita indimenticabile (82-81, Rossi 18). Seguono i ko con Cina e Jugoslavia ma stavolta l’appuntamento col destino non ce lo facciamo scappare: Ungheria battuta 60-53 (Rossi 18) e le Azzurre di Bruno Arrigoni volano a Mosca, complice il boicottaggio del blocco occidentale che esclude dai Giochi USA e Canada. Così Gorlin. “La formula era complicatissima, una specie di gara di sopravvivenza. Quella qualificazione, ottenuta di diritto e senza ripescaggi, l’abbiamo festeggiata come un Oro alle Olimpiadi. Era la prima volta per una Nazionale Femminile ai Giochi”.

Il nucleo della squadra olimpica è quello della Fiat Torino (Gorlin, Piancastelli, Grossi, Faccin, Vergnano, Guzzonato e Sandon), negli stessi anni Enzo Bearzot sta sperimentando la stessa cosa trapiantando la Juventus in Nazionale. A Mosca però le cose non vanno bene, le perdiamo tutte e quattro con Cuba, Canada, Unione Sovietica e Ungheria. “Arrivammo alle Olimpiadi sfinite, svuotate, al termine di una stagione lunghissima e dopo quel pre-olimpico infinito. Veramente, non ne avevamo più. Ma aver giocato un’Olimpiade rimane la gioia più bella della mia carriera“, conferma Gorlin, che la Maglia Azzurra l’ha indossata e onorata dal 1971 al 1986 per 231 presenze.

Non va meglio l’Europeo di Banja Luka (nono posto) e nel 1981 non ci serve a molto tornare a organizzare un evento: il ko con la Bulgaria allontana la squadra di Tracuzzi dalla zona medaglia e ci fa scivolare al settimo posto.

Nel 1983 si gioca a Budapest, l’Italia chiude al quinto posto e saluta l’esordio continentale della 17enne Cata Pollini, una “stellina” destinata a scrivere di proprio pugno le pagine più belle della Nazionale Femminile e che già in Ungheria mostra lampi di classe straordinari. Al pre-olimpico dell’Avana sfuma anche la possibilità di giocare le Olimpiadi di Los Angeles, fatali i ko con Cuba e Corea del Sud.

Nel 1985 l’ultimo Europeo di Tracuzzi tradisce le ambizioni della vigilia: si gioca a Treviso, Pollini è già una stella di prima grandezza e in Azzurro si affaccia per la prima volta Mara Fullin ma non andiamo oltre il settimo posto condannati dai ko con Ungheria e Polonia.Era un gruppo pazzesco, pieno di giocatrici dalla forte personalità come Gorlin, Sandon, Rossi, Ceschia, Peruzzo. Io le guardavo con ammirazione, mi sentivo una vera privilegiata a far parte di quella Nazionale”, racconta Fullin.

Nelle due successive edizioni la Nazionale è affidata ad Aldo Corno, che però a Cadice e a Varna non va oltre il quinto posto. Contro URSS e Cecoslovacchia non riusciamo a giocare e spesso a farci male sono Ungheria, Yugoslavia e Polonia. Spagna e Francia sono ancora dietro di noi ma non durerà a lungo, purtroppo.

Il primo Europeo di Franco Novarina si gioca a Tel Aviv nel 1991, Fullin e Pollini provano a trascinare la squadra ma non basta, non si va oltre il settimo posto nell’edizione che manda in archivio l’egemonia dell’Unione Sovietica. A maggio 1992 le Azzurre volano a Vigo per il torneo pre-olimpico, come a Varna 14 anni prima tutte le squadre sono attese da un autentico tour de force. Si giocano otto partite in undici giorni, l’Italia spreca due match point con Giappone e Brasile ma non fallisce la sfida dentro-fuori col Canada (66-44, Fullin 26) già battuta qualche giorno prima. “Fu un torneo estenuante – racconta la stessa Fullin – più che le Olimpiadi ricordo la festa per quella qualificazione, col bagno nella fontana di Vigo“. A Barcellona, però, come a Mosca rimediamo solo sconfitte, cinque: sono nove le partite giocate tra 1980 e 1992 ma ancora ci manca una vittoria alle Olimpiadi. Sono quelle del Dream Team USA, quelle di Jordan, Magic e Larry Bird. Le Azzurre non mancano di assistere a una sola partita della squadra più forte di tutti i tempi.

Anno 1993. Perugia. Giochiamo in casa e abbiamo una Nazionale forte, matura. L’Europa ha cambiato il suo assetto geo-politico: la Russia non è più un’armata invincibile, gli altri Paesi dell’est hanno ottenuto da poco autonomia anche nello sport. Battiamo Bulgaria, Polonia e Spagna ma in semifinale ci stoppa la Francia delle giovanissime Souvrè e Fijalkowski e poi cediamo anche alla Slovacchia nella finalina. Novarina subisce gli strali degli addetti ai lavori per non aver dato indicazioni contro il pressing slovacco.

Nel 1994 ci sono i Mondiali in Australia conquistati sul campo. Novarina è convocato a Roma dal presidente Petrucci e rimosso dall’incarico: il nuovo CT azzurro è Aldo Corno, reduce dal Grande Slam con la Pool Comense. I Mondiali partono alla grande, pure in un girone di ferro: vittoria con la Cina, poi col Giappone. Con l’Australia la sfida è decisiva per entrare nelle prime otto ma Timms ci punisce con 29 punti e l’Italia chiude undicesima, il bilancio è di 5 vittorie e 3 sconfitte.

A fine Mondiale Petrucci ringrazia Corno per l’impegno e sceglie il nuovo responsabile del Settore femminile, Riccardo Sales. Carisma, intelligenza, preparazione, umanità. Il presidente della FIP lo pone a capo del movimento. La sua “competenza di un altro mondo”, come la definì Cata Pollini, conduce a un confronto con tutto l’ambiente fondato su autorevolezza, rispetto e condivisione.

Poi, l’indimenticabile estate 1995. Sales compatta il gruppo emotivamente nel momento doloroso della rinuncia di Mara Fullin, colpita da un gravissimo lutto a pochi giorni dall’Europeo. A Brno l’Italia si arrampica fino alla finale, vincendo, divertendo, affascinando il folto pubblico che in Italia si attacca al televisore per seguire le dirette RAI. La finale con l’Ucraina è un sogno che resta tale ma che sembra in grado di imprimere una svolta al movimento femminile perché finalmente la Nazionale è conosciuta, riconosciuta e amata. “L’Ucraina era fortissima – racconta Valentina Gardellin – una squadra molto fisica e che da fuori non sbagliava mai, pure tirando con tecniche oscene. Quella partita però non la giocammo come le altre: colpa della stanchezza e un po’ anche dell’inconscio rilassamento dovuto al fatto che c’eravamo già qualificate per le Olimpiadi“. Così Angela Adamoli. “In quella squadra c’era un grande spirito di sacrificio, offensivo e difensivo, messo a disposizione di una tecnica sopraffina. Come ci ripeteva Sales, le squadre sono come un cantiere: se qualcuno non porta la calce non vai da nessuna parte, anche se hai i migliori architetti. In quello spogliatoio c’erano operai e geometri, tenevamo quasi sempre le squadre avversarie sotto i 55 punti”.

Qualche settimana più tardi a Fukuoka l’Italia conquista anche la medaglia d’Oro alle Universiadi, battendo gli Stati Uniti in finale. Marta Rezoagli che a fine partita corre per il campo col tricolore entra nell’immaginario collettivo degli appassionati di basket femminile.