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Leon lontana da tutto, l’impareggiabile Adolfo, il padre di Diego Perez, Sofia e il suo “Corazon”

17 Luglio 2024

L’ultima volta che FIBA aveva deciso di assegnare l’organizzazione di un Mondiale Femminile Giovanile a un Paese del continente Americano risale al 2011, quando la sede prescelta fu la cilena Puerto Montt, piena Patagonia, quasi mille km a sud della Capitale Santiago.

In quel caso la scelta non mancò di generare perplessità: si giocò in 15 perché la Nigeria non riuscì a raggiungere Puerto Montt in tempo, in Patagonia o nel “Sur del Mundo” come lo chiamano loro a luglio è inverno e fa discretamente freddo, soprattuto se gli impianti come in quel caso non prevedono alcun impianto di riscaldamento. A complicare le cose ci pensò uno dei tanti vulcani della zona che decise di accogliere le delegazioni con ripetute e copiose eruzioni, costringendo così ad esempio il Brasile a raggiungere Puerto Montt da Santiago grazie a 15 ore di pullman. Noi ci salvammo per pochi minuti. Ricordo la faccia attonita del responsabile della “Puerto Montt Arena”, che il giorno prima dell’inaugurazione rispose al mio “Are we ready?” con un secco “No”. Anche in Cile, come ora a Leon, c’era Giovanni Lucchesi e con lui la Nazionale Under 19 che solo un anno prima aveva vinto l’Europeo Under 18 a Poprad. A Puerto Montt chiudemmo undicesimi al termine di un Mondiale nel corso del quale affrontammo Canada, Egitto, Cina, Giappone, Stati Uniti, Russia e Cile, ovvero formazioni di quattro continenti su cinque.

Perché il bello, anzi il bellissimo di un Mondiale è proprio questo, ovvero la possibilità in campo e fuori di confrontarsi con persone prima e squadre poi provenienti da tutte le parti del pianeta. A Leon condividiamo l’albergo con Spagna, Finlandia, Nuova Zelanda, Giappone, Mali, Messico e Argentina: si mangia tutti nella stessa sala, il menu è ampio e soddisfa le necessità più disparate ma è evidente che le abitudini alimentari siano completamente differenti da Paese a Paese. A gestire tutta l’Area Food c’è il signor Adolfo, il ritratto della gentilezza, della signorilità, del sorriso autentico e non di facciata 24h. Ci siamo emozionati quando abbiamo scoperto che Adolfo parla perfettamente italiano ma poi l’abbiamo visto intrattenersi con la stessa naturalezza anche con giapponesi, finlandesi, neozelandesi… inutile negarlo, un po’ di sana gelosia ci è scattata. Il sorriso di Adolfo sintetizza e racconta la straordinaria disponibilità di tutti i messicani con i quali siamo entrati in contatto, a cominciare dalla nostra “immarcabile” attache Sofia. In Paesi non abituati a gestire eventi di così alto livello le smagliature organizzative soprattutto nei primi giorni sono pressoché fisiologiche ma la generosità con la quale gli abitanti di Leon si sono messi a disposizione per supportare le squadre è commovente e ti fa chiudere un occhio su (quasi) tutto.

Leon e Irapuato distano 70 km e appartengono allo Stato di Guanajato, ci troviamo al centro del Messico, distanti dalla Capitale come dal mare come dal confine con gli Stati Uniti. Ogni volta che proviamo a chiedere a Sofia quanto sia lontana una località a noi nota per motivi diversi come Puerto Escondido, Acapulco o Chihuahua non si parla mai di meno di 10 ore di viaggio. Se non 20. Leon, insomma, è lontano da tutto e non è neanche un posto particolarmente tranquillo, stante un tasso di criminalità rilevante. Ah, Leon è lontana anche dal livello del mare perché qui siamo a 1.850 slm e si sente, soprattutto in campo e dopo sforzi prolungati (sì parla per sentito dire, eh).

FIBA ha tenuto a tranquillizzare le delegazioni da mesi assicurando che speciali misure di sicurezza sarebbero state adottate e così è stato. In effetti, all’arrivo in aeroporto ad attenderci c’era una scorta della Guardia Nazionale, che poi ha continuato a seguirci in ogni altro spostamento Albergo-Palestre. Già, perché per direttiva comunicataci da Sofia è sconsigliato avventurarsi lontano dall’albergo in solitaria, soprattutto col calare del buio. E così Leon la viviamo spesso dentro un pullman che ci fa da Acquario, curiosi Pesci Azzurri che cercano di rubare con gli occhi la cupola di una Cattedrale, un negozio tipico, un motociclista improbabile, un Murales coloratissimo, nei 20-25 minuti che ci separano dall’Arena principale e dalla Practice Venue. In realtà lo scenario non è affatto quello di un film Western, non ci sono pallottole da schivare uscendo dal Saloon: la città è tranquilla, trafficata e con ritmi piuttosto dilatati.

Tutti i nostri spostamenti, partenze e arrivi, sono ripresi da operatori locali, a testimoniare che siamo partiti e arrivati illesi, oltre che in orario. I pullman sono piuttosto confortevoli mentre il discorso legato agli autisti merita un capitolo a parte: di fatto non ci è mai capitato lo stesso, e parliamo di almeno 20 viaggi, e non riusciamo a capire quanti siano in totale. Siamo passati dal padre di Sergio Perez che ci ha fatto vivere 12 minuti memorabili per un tragitto che di solito ne prevede 20 a un adorabile “Senor” che soleva praticare la Siesta a ogni semaforo. La colonna sonora l’unico denominatore comune dei viaggi, accompagnati da struggenti melodie messicane all’interno delle quali la parola “Corazon” è utilizzata tra strofe e ritornelli almeno 20 volte. Esasperati, abbiamo convinto Sofia a consultare l’orologio ogni volta che le chiediamo “Corazon“.

Il Mondiale sta scorrendo via veloce, a breve le strade tra le prime otto di Leon e le altre squadre destinate a Irapuato si divideranno: in questi giorni abbiamo visto la delegazione spagnola impazzire di gioia davanti al maxischermo per il gol decisivo di Mikel Oyarzabal contro l’Inghilterra e quella argentina fare altrettanto per la stoccata di Lautaro Martinez nei supplementari della finale di Coppa America con la Colombia.
Noi in disparte a soffrire in silenzio per Lorenzo Musetti, Jannik Sinner e Jasmine Paolini, insieme a Sofia che ormai è più italiana che messicana.

L’impareggiabile Adolfo, invece, applaudiva e si congratulava con tutti. Come farne senza?