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Italbasket100

Gary Cole e Abdul Jeelani, l'uomo che ha vissuto due volte

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12 Gennaio 2021

Ha cambiato nome.
Ha cambiato continente.
Ha cambiato squadre.
Ha cambiato moglie due volte.
Ha cambiato religione.
Ha cambiato diverse volte il corso della sua vita.

Quello che mai è cambiato è l'affetto che gli hanno sempre dimostrato le persone che hanno avuto la fortuna di incrociare Gary Cole. O se preferite, Abdul Jeelani.

Gary nasce alla periferia di Milwaukee e cresce a Racine, polverizzando dal 1972 al 1976 tutti i record statistici della ‘University of Wisconsin Parkside’.

Scelto al terzo giro dai Cavaliers, viene scartato da Cleveland e poi da Detroit e allora tenta la carta europea. E' Giancarlo Asteo a portarlo all'Eldorado Lazio nel 1976, con lui c’è anche Bob Elmore, che però poche settimane dopo viene ritrovato morto nella camera del suo residence vittima di un'overdose di eroina.

Cole è l'unico americano di quella Lazio e spazza via il campionato di A2, chiuso a 32.7 punti e 11.6 rimbalzi di media. L'estate successiva atterra a Roma con la moglie Amina e il piccolo Azim dichiarandosi musulmano. Ora si chiama Abdul Quadir Jeelani.

Le difese del nostro campionato ora lo conoscono ma evidentemente non abbastanza: la stagione la chiude a 33.2+13.3, Lazio promossa in A1 e le sirene della NBA che tornano. Un anno a Portland (9.6 punti) e uno a Dallas (8.4) e poi c'è di nuovo l'Italia nel destino, col contratto irrinunciabile che gli propone Livorno nel 1981: parliamo di 750.000 dollari per quattro stagioni. Alla prima arriva la promozione in A1 al fianco di Rudy Hackett (il papà di Daniel), nelle altre tre farà innamorare tutti i livornesi sponda Libertas e più in generale gli appassionati di basket italiani.

Alessandro Fantozzi, suo compagno a Livorno, racconta: “Non amava molto allenarsi, era contrario alle sedute mattutine. Un sabato prima di una partita importante, dopo che i coach lo avevano redarguito sull’importanza della puntualità agli allenamenti, si presenta in palestra un ragazzo che, con borsone a tracolla, chiede dove siano gli spogliatoi perché deve allenarsi con noi. Alla richiesta del coach su chi fosse, il ragazzo rispose che aveva conosciuto Jeelani alla base militare di Camp Darby e che Abdul gli aveva detto di venire ad allenare al posto suo, perché quella mattina non sarebbe riuscito a presentarsi. Abdul era pieno di vita, amava sorridere e trasformarsi in un vero showman: il suo gioco era istrionico e irriverente, come era lui fuori dal campo”.

Gli ultimi due anni della sua carriera li trascorre in Spagna, al Saski Baskonia e poi al Caja de Alava, poi torna negli Stati Uniti e di lui si perdono le tracce.

E' merito di Andrea Barocci, giornalista del Corriere dello Sport, se si torna a parlare di Abdul Jeelani nel 2010. Sono trascorsi 23 anni e la vita ha decisamente smesso di sorridere al centro statunitense. Nel suo articolo Barocci ne racconta i due matrimoni falliti, le traversie legali, la depressione, i problemi col diabete e la battaglia contro il cancro combattuta con tre operazioni.

Nel 2009 poi la perdita del lavoro e la richiesta di accoglienza a un centro per senzatetto di Racine. La drammatica storia di Jeelani scuote l'ambiente del basket italiano, al punto che il presidente della Lazio Basket Simone Santi lo contatta. “Scrissi via Facebook a sua figlia Karima, che mi diede il numero del centro per homeless dove viveva Abdul, che però aveva pendenze economiche negli Stati Uniti e per questo era senza passaporto. Facemmo partire una campagna di crowdfunding per pagargli i debiti e riuscimmo a farlo tornare in Italia”. Solo a Livorno vennero raccolti 3.700 euro in pochi giorni.

Il 14 gennaio 2011 Jeelani atterra a Roma, accolto al Palazzetto da 1.200 bambini di tutte le etnie che fanno parte del “Progetto Colors”, un'idea della Lazio Basket nata per affermare il valore dello sport come strumento di educazione e di inserimento nella società. Qualche settimana il ritorno a Livorno. Ovunque lo attendono amici, tifosi, semplici appassionati che l'hanno visto giocare o ne hanno sentito decantare le gesta.

La Lazio lo nomina testimonial di ‘Colors’ e Jeelani si prende cura per due anni di centinaia di ragazzini nelle periferie più complicate di Roma, avvicinandoli alla pallacanestro. “Qui mi sento a casa, spero di dare una mano a chi sta peggio. Lo sport per me è sempre stato questo: conoscere il mondo e stare con le persone, non il business”.

Tornato negli Stati Uniti, il progetto al quale aveva contribuito con entusiasmo si è poi evoluto nella costruzione di un centro sportivo all’orfanotrofio di Zimpeto.

Abdul Jeelani ci ha lasciati il 3 agosto 2016, ad appena 62 anni, vittima di una crisi cardiaca.

Nessuno potrà mai dimenticarne l'eleganza quando era in campo e la dolcezza nella vita di tutti i giorni.

Ufficio Stampa Fip

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